Relazione esperto e paziente. Alcune criticità.

Vi presentiamo qui sotto la traduzione di un articolo pubblicato on line, che si riferisce a uno studio realizzato per analizzare il discorso sulla salute mentale nell’ambito legislativo inglese.

Questo lavoro rivela che il discorso che riguarda la salute mentale si sviluppa a partire da una retorica che pone al primo posto il rischio (per il paziente e per gli altri) in modo da giustificare la modalità coercitiva di alcune pratiche sanitarie.

La costruzione della relazione tra l’esperto (psicologo e psichiatria) e il paziente è uno dei modi attraverso cui questo tipo di logica viene perpetrata. L’autorità del primo viene presentata come granitica, indiscutibile, così come il sapere medico di cui si fa portatore.  Questo tipo di costruzione rende improbabile l’intervento di altri saperi, tra cui in primo luogo quello del paziente che raramente viene considerato portatore di una valida esperienza e competenza.

Nell’articolo originale, viene fatto un esplicito riferimento alla salute dei/le bambin*, che secondo gli/le autor* richiede sempre una preparazione particolare dei/le professionist* e delle competenze specifiche, dando per scontato che l’aiuto per quest* bambin* non potrà mai giungere solo dalle famiglie, dalle amicizie o dal gruppo sociale di riferimento.

La risonanza con il modo in cui viene gestita la varianza di genere nell’infanzia e adolescenza da alcune strutture pubbliche italiane è assordante e alcune delle nostre famiglie, purtroppo, riconosceranno in queste dinamiche il loro vissuto.

Crediamo sia importante che alcuni ambiti del sapere, quali la psichiatria e la psicologia, intraprendano un percorso di questionamento e di consapevolezza rispetto all’impatto che le pratiche terapeutiche da loro proposte possono avere sulle vite delle persone che pretendono di aiutare. Per una questione di salute, ma anche, come sottolineano gli/le autor*, di diritti umani!

 

 

Come il UK Mental Health Act usa la psichiatria per giustificare alcune restrizioni sui diritti.

Articolo originale: https://www.madinamerica.com/2020/11/uk-mental-health-act-uses-psychiatric-discourse-justify-rights-restrictions/

Di Micah Ingle, MA

Novembre 5, 2020

 

Un recente articolo pubblicato nel Journal of Mental Health esplora il linguaggio utilizzato per discutere della salute mentale nei dibattiti del parlamento britannico sul Mental Health Act promulgato nel 2017. Esperti di psicologia del Regno Unito hanno analizzato questi dibattiti utilizzando metodologie di analisi del discorso, per evidenziare come i membri del parlamento presentano o “costruiscono” gli individui all’interno del sistema di prevenzione della salute mentale. Queste rappresentazioni (costruzioni), come “esperto” o “paziente”, servono a rafforzate le narrative pre-esistenti riguardo, ad esempio, il “rischio per la salute pubblica” posto dalla “malattia mentale”.

“La sofferenza mentale non è sempre stata descritta come un disordine o una malattia. È stata descritta in vari modi attraverso i secoli: come una manifestazione o una punizione divina, come possessione demoniaca, “pazzia”, “follia” o come qualcosa che necessita di una indagine razionale. Tom Kent, Anne Cook e Ian Marsh, piscolog* britannic*, sottolineano come solo nel 1774 la legge britannica sui disordini mentali fa riferimento alla medicina, quando il Madhouse Act permette al personale medico di visitare gli istituti psichiatrici.

Chi si occupa di psicologia e della psichiatria a livello teorico ha sempre messo alla prova l’idea che i disordini mentali abbiano radici biologiche e che restino immutati nel tempo e nello spazio.  Studios* di numerose discipline, come il filosofo Michel Foucault, lo psichiatra esistenzialista R. D. Laing e lo psicologo e critico sociale Kenneth Gergen hanno invocato per lungo tempo un approccio costruttivista alla “malattia mentale” secondo il quale il modo in cui si definisce la salute mentale e il modo in cui se ne parla nella società ha un impatto su chi vive condizioni reali di sofferenza mentale.

Kent, Cook e Marsh hanno usato metodologie qualitative di analisi del discorso (spesso ispirate alle idee di Foucault) allo scopo di mostrare come il modo in cui gli psichiatri e gli psicologi parlano e costruiscono i discorsi sulla salute mentale possono attivamente contribuire allo “sviluppo” di certi tipi di persone e di esperienze di malattia.

Per il costruttivismo questo si ottiene legittimando e mettendo in circolazione queste narrazioni attraverso, tra le altre cose, il potere istituzionale e le leggi. Ad esempio, hanno analizzato l’influenza del DSM V dell’American Psychiatric Association su tantissim* professionist* della salute mentale nella loro formazione e nella loro pratica clinica.

Al di là della psichiatria in senso stretto, l’attività legislativa è un altro ambito in cui le malattie mentali e le posizioni dei soggetti all’interno della psichiatria sono costruite. Lo studio in oggetto usa la metodologia qualitativa dell’analisi del discorso per indagare come, nell’ambito della salute mentale, gli individui sono costruiti nei dibattiti parlamentari che hanno riguardato il Mental Health Act promulgato nel 2007.

Seguendo i protocolli di ricerca descritti dallo psicologo Ian Parker, Kent, Cook e Marsh hanno analizzato le trascrizioni di 215.000 discussioni del Public Bill Commitee riguardanti il Mental Health Act.

Kent, Cook e Marsh hanno trovato due diverse “costruzioni”, quella di “esperto” e quella di “paziente”.

Nei dibattiti l’”esperto” viene presentato come qualcuno che possiede delle conoscenze, ha ricevuto una formazione specifica ed è considerato degno di fiducia. Coloro che hanno preso parte al dibattito in molte occasioni hanno rimesso le decisioni da prendere alla competenza degli psichiatri e degli altri professionisti della salute mentale, descrivendo se stessi, in opposizione ad essi, come profani.

Questa interpretazione della competenza in ambito psichiatrico si accompagna alla convinzione che qualunque cosa i professionisti dicano riguardo agli approcci alla prevenzione della salute mentale sia definitiva. I pubblici ufficiali coinvolti nei dibattiti hanno rafforzato tale competenza citando il lungo percorso di formazione e tirocinio a cui questi si sottopongono, sottolineando anche le differenze di percorso rispetto a psicolog* e infermier*.

Secondo gli autori della ricerca, questa costruzione del concetto di competenza può “portare alla svalutazione o all’occultamento di altri tipi di conoscenza e competenza”, che spaziano dall’esperienza personale da chi usufruisce di un determinato servizio alle competenze potenzialmente presenti in famiglia, tra le amicizie, nella comunità più ampia di cui ciascuno fa parte.

“La costruzione dell’affidabilità rende inutile sollevare interrogativi sulle pratiche psichiatriche. Poco o nulla viene detto dei limiti della competenza medica ed essa non viene messa alla prova. La combinazione di formazione, conoscenza ed esperienza e la presunta affidabilità sembrano invitarci ad accettare l’autorità degli esperti e lasciare che siano loro a prendere decisioni per nostro conto.”

La seconda costruzione principale, quella di “paziente”, è stata descritta in maniera molto diversa nei dibattiti. I “pazienti” sono stati spesso descritti come “non-conformi” nei confronti dei trattamenti prescritti, come potenziale rischio per la società e come incapaci di prendere decisioni.

L’efficacia dei farmaci e la necessità che i pazienti li assumano come prescritto è stata data per scontata nei dibattiti. Questo, insieme all’idea che non seguire le terapie prescritte possa portare all’omicidio o al suicidio, ha portato a considerare la non-conformità come altamente pericolosa.

Kent, Cook e Marsh affermano che il deterioramento della salute mentale di un paziente è stato automaticamente associato al rifiuto dei farmaci prescritti. Un parlamentare ha affermato: “Sfortunatamente, i genitori, gli assistenti e gli altri devono spesso rimanere a guardare mentre il paziente peggiora a tal punto che deve tornare in ospedale per un altro trattamento sanitario. Ciò può accadere numerose volte. E spesso succede perché le persone non prendono i farmaci prescritti e non rimangono in contatto con i professionisti della salute.”

Riguardo al potenziale rischio per la salute pubblica, secondo gli autori “eventi storici di alto profilo ma non usuali” sono stati presentati come prova che alcuni individui hanno bisogno di essere trattenuti contro la loro volontà. Questi eventi, ad esempio, includono il caso di Michael Stone che fu “condannato per doppio omicidio” e “a cui fu diagnosticato un disturbo antisociale di personalità” unito ad abuso di alcol e droghe.

Per Kent, Cook e Marsh, questo tipo di narrazione o costruzione di queste tematiche – “pazienti” psichiatrici come pericolosi e bisognosi di essere isolati – può peggiorare la situazione complessiva anziché tenere gli individui e la società più al sicuro.

La terza tra le caratteristiche discusse riguardo ai pazienti è quella della capacità decisionale. Riguardo a tendenze suicide o para-suicide, ad esempio, è sempre stato dato per scontato nei dibattiti che gli individui non abbiano capacità di rappresentanza e che i professionisti prendano le decisioni per loro a causa della loro “malattia”. Uno dei parlamentari ha affermato: “Chiaramente, a giudizio di un clinico, se qualcuno ricorresse all’autolesionismo, automaticamente ciò solleverebbe il problema della ridotta capacità di giudizio.”

Nelle conclusioni, Kent, Cook e Marsh fanno riferimento a potenziali riforme:

“Pensando alle possibilità future, riguardo il Mental Health Act, Kinderman ha sostenuto che le decisioni dovrebbero essere basate su quanto la persona sia un rischio per sé e per gli altri e non su quanto sia o non sia affetta da una malattia mentale. Kinderman suggerisce che si tratta di una questione di diritti umani che dovrebbero essere alla base di queste decisioni. Pur non essendo un’apertura totale all’abolizione del trattamento sanitario obbligatorio e dell’isolamento, apre la strada a una nuova concezione della malattia mentale non più centrata sulla necessità di rispondere alle questioni legate ai potenziali rischi.

Infatti, allontanando i disordini mentali dalle questioni legate al rischio sarebbe possibile discutere della gestione dei rischi nella società in un’ottica più ampia, nella quale i rischi connessi ai disordini mentali vengono considerati in relazione agli altri potenziali rischi (sesso non protetto, fumo, alcolismo) che non hanno gli stessi livelli di restrizione.

 

 

0 Condivisioni

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *