Adolescenza trans in aumento e contagio sociale, l’importanza di affidarsi sempre a validati studi scientifici

Adolescenti non binari felici

La notizia della recente riforma del modello di attenzione alla salute inglese per le persone trans (vedi Dr. Cass Review e Tavistock and Portman NHS Foundation Trust) è rimbalzata sulle principali testate giornalistiche di tutto il mondo che, in molti casi, non hanno perso l’opportunità per alimentare un ingiustificato allarmismo rispetto alle pratiche e servizi di accompagnamento per la salute di giovani trans.

 

“Epidemia di identità trans”?

Le informazioni diffuse in questa (e altre) occasioni, raccontano di un fenomeno sociale diffuso tra preadolescenti, una sorta di “epidemia di identità trans”, che interesserebbe maggiormente le giovani persone cui alla nascita è stato assegnato il sesso/genere femminile (AFAB). 
 
Chi sostiene questa ipotesi (conosciuta con l’acronimo ROGD), afferma che un numero sempre maggiore di giovani si identificherebbe come trans a causa della desiderabilità sociale che accompagna questa esperienza e/o per una sorta di omo/lesbo/bifobia interiorizzata (ovvero il rifiuto di riconoscersi come persona appartenente ad una minoranza sessuale).

Smontare  le narrazioni ascientifiche

Con lo scopo di smontare le narrazioni ascientifiche che si generano rispetto all’infanzia e all’adolescenza trans, un gruppo di ricerca, diretto dal Dr. Jack Turban, professore in psichiatria alla University of California, San Francisco, si è proposto di verificare questa ipotesi, analizzando i dati provenienti dall’Inchiesta sul Comportamento a Rischio di Giovani (YRBS), nelle due edizioni del 2017 e 2019. 

Per accertare la validità delle presunte ragioni che potrebbero essere alla base di una ROGD, il Dr. Turban e il suo gruppo di ricerca hanno verificato le variabili relative al bullismo scolastico e al cyberbullismo. 

Gli esiti

Gli esiti dimostrano che le giovani persone trans hanno significativamente più probabilità di essere vittime di bullismo non solo rispetto allɜ coetaneɜ cisgender (e quindi non trans), ma anche rispetto a giovani appartenenti ad una minoranza sessuale.

Il risultato, quindi, non è affatto coerente con l’ipotesi che stiamo assistendo a un vero e proprio contagio sociale dovuto alla moda del momento. 

Anzi, secondo lo studio, l’analisi dei dati emersi dai due sondaggi, a due anni di distanza uno dall’altro, indica una diminuzione del numero delle persone che si identificano come trans (dal 2,4% nel 2017 al 1,6% nel 2019). 

Rispetto alla questione della presunta scelta di dirottare verso una identità trans per evitare il coming out come persona omosessuale, o di altro orientamento, e quindi sfuggire allo stigma che questo comporta, lo studio rivela che, in realtà, molte delle persone trans che hanno risposto all’inchiesta appartengono già ad una minoranza sessuale (gay, lesbiche o bisessuali).

Infine, rispetto alla percentuale di persone che si identificano come trans, lo studio smentisce che le persone a cui è stato assegnato il sesso/genere femminile alla nascita siano più suscettibili a questa tendenza. 

I dati emersi rivelano che il rapporto numerico tra AMAB e AFAB è di 1,5:1 (nel 2017) e di 1,2:1 (nel 2019).

Lo studio del Dr Jack Turban

Questo studio, pubblicato recentemente nella prestigiosa rivista American Academy of Pediatrics, permette di comprendere la reale dimensione di un fenomeno che viene spesso rappresentato senza contare su studi, ricerche e dati su cui lavorano quotidianamente ricercatorɜ  delle principali università del mondo. 

Pensare di fare il bene delle giovani persone trans, alzando barricate ideologiche non sostenute da fondamenta scientifiche, ci dice qualcosa dell’incapacità delle persone adulte di accogliere possibilità diverse di incarnare il genere. 

Non certamente del benessere e della felicità di questa infanzia/adolescenza che si pretende di proteggere!

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